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    • 14 MAR 23
    Depressione e demenza. <br> Intervista al Professor Carlo Blundo.

    Depressione e demenza.
    Intervista al Professor Carlo Blundo.

    Recenti studi neuroscientifici hanno dimostrato che la depressione può accelerare il processo di declino cognitivo con l’avanzare dell’età. Sebbene fosse già noto che la memoria e altre funzioni cognitive tendono a rallentare con l’età, le ricerche hanno evidenziato l’importanza di considerare anche lo stato dell’umore dei pazienti nella valutazione del loro funzionamento cognitivo.

    Per approfondire questo argomento, abbiamo intervistato il Prof. Carlo Blundo, specialista in Neurologia e Psichiatria ed esperto in Disturbi cognitivi e Demenze.

    È vero che depressione e demenza sono patologie in aumento nelle persone anziane?

    Assolutamente sì. Già nel 1955 il neurologo inglese Martin Roth aveva identificato la depressione e la demenza come le più importanti malattie della vecchiaia, con sintomi sovrapponibili che rendono difficile distinguere tra le due patologie in pazienti anziani. Oggi, con il prolungamento della vita e l’aumento del numero di persone anziane, la prevalenza di queste patologie età-dipendenti è in costante aumento.

    In che modo depressione e demenza possono essere in relazione tra loro?

    Diverse ricerche neuroscientifiche hanno dimostrato che la depressione può contribuire ad accelerare il processo di declino cognitivo associato alla demenza, attraverso meccanismi complessi. Ad esempio, la depressione può causare un aumento degli ormoni glucocorticoidi, che possono indurre atrofia dell’ippocampo, una struttura critica per i processi di memorizzazione. Inoltre, la riduzione delle sinapsi a causa della depressione può comportare un impoverimento della riserva culturale cerebrale, mentre la produzione di microischemie cerebrali e fenomeni infiammatori legati ad un accumulo di chitochine possono danneggiare i circuiti dell’umore e delle funzioni cognitive. E’ importante sottolineare che la depressione è la via finale comune di fattori eziologici, sia biologici che psicosociali, e quindi è una patologia biopsicosocioculturale.

    Perché è spesso difficile distinguere tra depressione e demenza nell’età avanzata?

    Anche se depressione e demenza possono coesistere nella persona anziana, ci sono quadri depressivi veri che possono esordire con deficit cognitivi simili a quelli della demenza, e quadri di declino cognitivo vero che possono esordire con sintomi simili a quelli depressivi. Pertanto, la valutazione clinica psicopatologica e neuropsicologica sono fondamentali per una diagnosi differenziale accurata.

    Qual è la terapia raccomandata per questi diversi quadri clinici?

    Nella demenza, che nel suo decorso si associa a depressione, quest’ultima può essere curata con terapie farmacologiche, ma la demenza progredisce inevitabilmente. Nella depressione con disturbi cognitivi, la terapia della depressione può migliorare l’umore e normalizzare il funzionamento cognitivo. Al contrario, nella demenza che inizia con sintomi simili a quelli depressivi (ad esempio astenia, apatia, difficoltà a programmare o a prendere decisioni), questi sintomi non dipendono da un disturbo dell’umore, ma da un sottostante deficit cognitivo incipiente. Pertanto, non regrediscono con la terapia antidepressiva.

    Quindi, è possibile distinguere tra forme di depressione con demenza curabili e altre poco o affatto curabili.

    Certamente. Ad esempio, una depressione caratterizzata da deficit cognitivi può essere reversibile mediante un’adeguata terapia farmacologica, ed è stata anche chiamata pseudodemenza. D’altra parte, una condizione di demenza che maschera una depressione richiederà un trattamento basato sui farmaci anticolinesterasici, che sono utilizzati da tempo per rallentare il decorso della demenza di Alzheimer.

    Una prevenzione è possibile?

    La depressione è largamente curabile oggi e la terapia è fondamentale per prevenire l’esordio della demenza, ma non è l’unico fattore di rischio. Alterazioni metaboliche come l’iperglicemia, l’ipercolesterolemia e l’obesità, l’ipertensione, la sedentarietà e i fattori psicosociali avversi possono aumentare la suscettibilità ad ammalarsi di depressione e contribuire a creare danni cerebrali diretti. Recenti ricerche hanno dimostrato che la solitudine e la mancanza di relazioni sociali sono associate a un peggioramento delle funzioni cognitive, anche attraverso la mediazione di disturbi depressivi.

    In sintesi, tra depressione e demenza esistono interazioni complesse che oggi, almeno in parte, stiamo riuscendo a decifrare, con importanti riflessi sia sulla prevenzione sia sulla terapia.

    Il tema della depressione come possibile fase prodromica e clinica della demenza sarà affrontato dal Prof. Blundo durante la “Brain Awareness Week”, il 17 marzo a Roma in occasione del convegno “The Brain between stress, depression, aging and dementia: the role of neuroscience research in medical and public education” (“Il cervello tra stress, depressione, invecchiamento e demenza: il ruolo della ricerca sulle neuroscienze nella formazione medica e pubblica”).